Portarti via
27 Gennaio 2019Portarti via.
Prenderti in braccio e fuggire da qui, ovunque, senza meta. Tanto che ci importa, nessun posto è peggiore di questo.
Portarti via.
Con una corda, come fosse un tiro alla fune. Tutti quelli che ti amano di qua… e di là soltanto il vuoto.
Portarti via.
Con una zucca, frustando a sangue i topini. La carrozza non possiamo permettercela, ma vedrai, principessa, per mezzanotte faremo in tempo.
Portarti via.
Ripararti da questo vento, da questa pioggia disgraziata, che ti lascia più bella, come un fiore nella tempesta, disperato e mai domo, nonostante tutto.
Portarti via.
Al mare, su una papera di gomma, con l’acqua salata che ti schizza addosso e tu che sorridi perplessa quando ti dico che punteremo dritti sull’Albania.
E portarti via, arrivare fino alla quercia del tasso, ma non il poeta, chi se ne frega di lui. Ci sarà un tasso vero, invece, enorme, pettinato magnificamente, lo potrai portare al guinzaglio per le strade di Roma e tutti vorranno accarezzarlo.
Portarti via.
Portarti via da questi lamenti, da queste urla che attraversano il cuore.
Da questi tubi, da questi flaconi, da questi macchinari, da questo metifico odore di pulito e di niente, da queste bianche divise e rotelle e poltrone da Fracchia, da questi letti sbarrati come prigioni, da questi compagni di stanza senza volto, dietro le tende, che non vogliono buttar giù le pastiglie.
Portarti via da qui, adesso e per sempre, tornare a casa e far finta che sia di nuovo Natale.
E non piangere più. E mangiare e giocare. E ridere in faccia al dolore.
Portarti via, sì, portarti via con la forza, una volta per tutte, da questo letto disfatto.
Da questo bastardo ospedale.
©Thomas Pistoia