Erode non deve vincere mai

Erode non deve vincere mai

10 Giugno 2010 1 Di thomas

Avevo nove anni. L’oratorio era il mio mondo di amici e di giochi.
Misuravo il tempo in rintocchi, in tintinnii; dal lungo acuto sonaglio della campanella di scuola, al rintocco fermo e incrollabile del campanile in parrocchia.
Il mio mondo era semplice e allegro; il mondo di un bambino il cui dramma più grande poteva essere al massimo un rigore sbagliato nella partitella pomeridiana con i compagni, o un rimbrotto della mamma per aver sporcato il pantalone buono.
Un bambino beneducato e volenteroso, attento alle spiegazioni dei grandi, e sempre felice di imparare nuove cose.
Mi piaceva la scuola, ma mi piaceva ancora di più andare a dottrina. Nel mio animo di fanciullo la scuola era sì utile e importante, ma – come dire ? – un po’ troppo meccanica, a suo modo scientifica, perchè per lo più basata sul reale.
La dottrina invece era una storia meravigliosa, persa nella notte dei tempi, ma così vicina, così vera. Ascoltavo con occhi sognanti la narrazione di un mare che si apriva per far passare gli eletti e si richiudeva poi, in un’unica onda di infinita giustizia, sui malvagi e gli oppressori. Trepidavo per lo storpio che si trascinava nella polvere per toccare le vesti di Gesù, e, ogni Natale, mi innamoravo di Maria e soffrivo del suo peregrinare alla ricerca di un albergo.
Poi mi rallegravo. Perchè Erode non vinceva mai.
Don Lelio mi era simpatico. Era alto, grosso, un omone infagottato nella sua tonaca nera, mai cupo, a tratti burbero, ma sempre cordiale. Nessuno di noi bambini ne aveva paura; a parte qualche rimprovero qua e là, normale alla nostra età, per noi aveva sempre avuto buffetti e battute scherzose e non di rado aveva partecipato alle nostre partite di calcio. Passava dall’oratorio con libri o altri oggetti al braccio, magari preso in un suo impegno. Ad un tratto, così come si trovava, irrompeva in campo e cominciava a correre dietro alla palla, suscitando risa e proteste tra noi piccoli giocatori; infine, infischiandosene di punteggi, squadre e metà campo assegnate, tirava nella porta più vicina, quasi sempre mancando il bersaglio. Dopodichè, ancora con la sua sporta al braccio, salutava tutti e tornava alle sue faccende.
Oggi direi che gli volevo bene. Era buono, lo vedevo buono. Per me apparteneva alla sfera dei miei adulti: mio padre, mia madre, la nonna, la maestra… e lui, il priore.
Mi lodava sempre per l’impegno che dimostravo a dottrina. Mi indicava come esempio agli altri bambini, mi aveva dato, infine, la prima fila nel coro domenicale, con l’incarico non solo di cantare, ma anche di tenere in ordine i ciclostilati dei canti durante la funzione. Ero molto orgoglioso di questo compito e seguivo con pignoleria la messa domenicale, tenendo sempre d’occhio la scaletta dei canti, pronto a far notare la minima anomalia agli altri del coro.
Don Lelio aveva in parrocchia una sorta di suo ufficio, nell’ala della chiesa opposta all’oratorio. Noi bambini non frequentavamo quel lato dell’edificio: c’era una sacrestia, una piccola cappella e un altro paio di stanze ad uso del parroco; nulla che poi alla fine potesse interessarci davvero.
Però quando il prete un pomeriggio mi chiamò dal bordo del campetto e, presomi in disparte, mi chiese se volessi andare con lui a vedere il suo ufficio, beh, fu impossibile resistere.
Era un ulteriore privilegio che mi poneva al di sopra di tutti gli altri bambini dell’oratorio; ma soprattutto era una dimostrazione di fiducia senza precedenti. Fu lui stesso a farmelo notare.
– Dobbiamo diventare ancora più amici – disse – voglio che tu diventi il mio segretario e che mi aiuti a fare le cose che da solo a volte non riesco a fare. Tu vuoi aiutarmi ? Vuoi diventare ancora più mio amico ?
Non gli risposi. Eravamo giunti, mano nella mano, davanti alla porta del suo ufficio. Con aria seriosa feci due volte di sì col capo.
Entrammo. Notai che chiuse a chiave la porta. Poi restò fermo lì, sull’uscio, come per lasciarmi il tempo di ambientarmi.
Ed effettivamente, piano piano, io presi a guardarmi attorno.
Era un piccolo ufficio. In fondo alla stanza c’era un grosso tavolo di legno massiccio pieno di fogli, con uno scrittoio al centro. Sulla pareti laterali un armadio antico e una specie di schedario.
Passarono alcuni minuti. Don Lelio era rimasto a guardarmi mentre osservavo curioso, girando intorno alla scrivania.
– Ti piace questo posto ?
– uh-uh – risposi.
– Allora d’ora in poi questo sarà anche il tuo ufficio – si sedette alla scrivania – vieni, siediti con me – mi disse, indicandomi le sue ginocchia.
Mi lasciai aiutare dalle sue enormi braccia e mi ritrovai seduto davanti allo scrittoio, con il suo petto alle spalle.
Ero contento. Mi sentivo grande.
– Dobbiamo scrivere qualcosa ? – chiesi, sperando che la risposta fosse un sì.
– Dopo, magari – rispose Don Lelio.Mi teneva le mani sulle spalle, mi accorsi che le faceva scendere fino ai miei gomiti, poi tornava su. Mi sembrò che la velocità di questo andirivieni sulle mie braccia stesse aumentando.
– Per essere sicuro che tu mi possa aiutare – disse – ho bisogno che tu mi dia la certezza che credi in Dio e in Gesù… Tu ci credi ?
Risposi, subito, convintissimo che, sì, ci credevo.
– E alla Madonna ?
– Sì, ma ho sempre paura che Erode vinca – risposi. Poi mi venne il dubbio che non fosse una risposta convincente.
Don Lelio mi abbracciò.
– Dio è amore – disse, guardandomi fisso in volto – Il Signore desidera che ci vogliamo bene. Tu mi vuoi bene ?
– Certo – risposi.
– Allora dammi un bacio.
Mi sembrò una richiesta un po’ strana, ma non ci vidi niente di male. Volevo dimostrare a Don Lellio che volevo bene a lui e a Gesù e che ero felice di poter diventare il suo aiutante.
Mi sporsi e gli posai un piccolo bacio sulla guancia.
Lui rise, prendendomi in giro.
– E questo sarebbe un bacio ? Ma allora tu non sai come si baciano le persone che si vogliono bene !
Non mi diede il tempo di replicare. La sua bocca si incollò alla mia, mentre una delle sue mani mi premeva la nuca contro il suo volto.
Ora è difficile spiegare. Da questo momento compresi che stava accadendo qualcosa di terribile, ma non sapevo cosa, sentivo le sua lingua che frugava nella mia bocca, la saliva…mi sentii immobilizzato, non capivo cosa stesse succedendo, ma sentivo che non era niente di buono.
– Non devi dirlo a nessuno, mi raccomando – mi disse – la Madonna vuole che il fatto che mi aiuti e che scrivi su questa scrivania resti un segreto. Non devi dirlo a nessuno, nenanche a mamma e papà. Altrimenti non obbedisci alla Madonna e commetti un peccato. Tu vuoi fare peccato ?
No.
Mi stava spogliando.
Mi girò a cavalcioni su di lui e accompagnò le mie mani fino a… Io… resistetti un po’, non capivo perchè mi faceva toccare lì e avevo paura che gli scappasse la pipì…
Mi disse che dovevo fare su e giù… così… sì…
Cominciai a percepire degli odori.
Io… in realtà cercavo di distrarmi, di non pensare, volevo solo andare via; pensai che prima avrei fatto quello che mi diceva, più presto mi avrebbe lasciato andare.
L’odore veniva dal suo petto, poi… da lì dove avevo le mani. Un odore che non avevo mai sentito… brutto… era un odore di pelle. Cominciò ad ansimare e mi spinse il capo sul suo petto. Lì l’odore era ancora più insopportabile. Pensai di avere i conati.
Poi cominciai a sentire che le mie mani si bagnavano di qualcosa… Le ritrassi subito, con un lamento… no… la pipì…
Non è pipì… – disse lui, sorridendo in un sussurro.
Mi sollevò e mi fece mettere disteso con la pancia sulla scrivania.
Cominciai a piangere.
Non so perchè, non potevo minimamente immaginare cos’altro aveva intenzione di fare, però… era… ero ormai terrorizzato… Sentivo che stava per accadermi qualcosa di ancora più orribile…
In realtà non ero certo che quello fosse male. A me sembrava male, ma ero combattuto perchè lui lo chiamava amore e diceva che Dio ne era contento. Lui era un adulto, era il priore, mi fidavo, forse… forse mi stavo sbagliando ?
Mormorai comunque che volevo tornare a casa.
Lui mi tenne premuta la schiena con una mano. Sentì che mi frugava dietro.
Poi urlai.
Non sapevo cosa stesse facendo, sapevo solo che faceva un male enorme.
Urlai fortissimo, e piansi. E pensai che in quel posto non c’era nessuno che potesse sentirmi, ma anche che, meglio così, quello era un segreto, e non volevo fare un peccato.
Durò alcuni munuti, ricordo che le sue spinte mi facevano sbattere la tempia sul piano del tavolo… No, credo… non ricordo.
Alla fine avvertii di nuovo una senzazione di umido, di… di bagnato e… so solo che terminò, mentre io piangevo oramai in silenzio.

Il giudice fino a quel momento aveva ascoltato con la testa bassa, gli occhi chini sulle mani conserte a bordo tavolo.
– In seguito successe ancora ?
– Durò sette anni…
– Non raccontò mai nulla a nessuno ?
– No. Quel giorno Don Lelio cambiò la mia vita, cancellò la mia infanzia, la mia innocenza. Io provavo vergogna per quello che era successo e… e mi sembrava che la colpa fosse mia. Lui mi diceva che non c’era niente di male che Dio e la Madonna erano contenti e che non dovevo dirlo a nessuno…
Il giudice sospirò e guardò altrove.
– Perchè adesso ha deciso di raccontare tutto ?
– Vede, io ho un figlio. Un bambino di nove anni, e… mi somiglia molto. Quando lo guardo vedo me stesso alla sua età. Ce l’ho sempre davanti agli occhi quel me stesso bambino e… e quel bambino… quel bambino, signor giudice, mi domanda… “ma tu a tuo figlio, oggi, lo lasceresti nelle stesse condizioni, gli faresti patire quelle stesse cose ?” Oh, no, signor giudice, io gli rispondo di no, io gli dico…. gli dico che a mio figlio mai lo abbandonerei in una simile situazione ! E lui, il mio io-bambino, mi dice “allora perchè hai lasciato che succedesse a me ? Non ero anch’io un bambino di nove anni, come tuo figlio ?”.
Quel bambino mi chiede di essere riscattato, signor giudice, chiede di avere la giustizia che non ha mai avuto…
Il giudice strinse le labbra e si mise a riordinare le carte in un fascicolo.
– Lei lo sa, vero ? – disse, sollevando lo sguardo dai fogli – Lei lo sa che essendo Don Lelio un prete alla fine non riusciremo ad ottenere per lui neanche un giorno di galera…
– No, non è questo… è… è che… Bisogna che si venga a sapere… La gente, i fedeli, gli altri preti… Ci sono altri bambini…
– Lei è un uomo coraggioso – concluse il giudice porgendogli la penna perchè firmasse la deposizione – Dopo quello che le è successo crede ancora in Dio ?
– Io… sì, ci credo ancora. E anche in Gesù e nella Madonna. Solo mi è rimasta quella paura di allora, che Erode possa vincere… Con me tanti anni fa ha vinto, ma…
Ma Erode non deve vincere mai.

Erode

non dovrà vincere

mai più

©Thomas Pistoia

Questo brano è dedicato a Mariangela Accordi e al suo immenso coraggio.

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