Pecore e fiction

17 Dicembre 2009 2 Di thomas

Per fare il pastore ci vogliono le pecore.
Le pecore non hanno bisogno di essere addomesticate, nascono così, con l’istinto di seguire il gregge; il gregge poi segue il cane, che segue il pastore.
Le pecore si spaventano facilmente e, se hanno paura, ti seguono più volentieri,
Ora il pastore è qui, sul palco.
Ha parlato, ha urlato, ha raccontato di libertà e democrazia. Ha guardato, al di qua del chiarore delle luci artificiali, le ombre e le teste sotto le bandiere; ha aperto le braccia indicando l’orizzonte verso il quale è necessario guardare.
L’inverno è cominciato da poco, le sere, da qualche giorno si sono fatte più gelide. E si avvicina il Natale.
L’alito del pastore si disperde nell’aria tra bocca e microfono, sembra voler partire da qui per scontrarsi con gli aliti dispersi dietro le transenne, Le divise dei poliziotti stazionano attente al confine che separa il potere dal contatto umano.
Gli applausi, gli slogan, la folla che urla il suo nome. Il premier sorride, si ferma su ogni concetto e lascia sfogare la tifoseria.
Ci sono persone, là sotto. Non ci sono pecore.
Poggiandosi elegantemente sul leggio il pastore attacca la sua opposizione, argomenta contro giudici, contesta le istituzioni. E la folla lo acclama.
Dall’altro lato altri striscioni, altre bandiere, fischi e disapprovazione.
Sono gli altri, gli alieni, quelli che non seguono il gregge, o quelli che hanno altri pastori. Basterebbe una scintilla per aprire uno scontro.
Gli uni contro gli altri, abitanti dello stesso grande e sfortunato paese, che cercano di annientarsi contro di lui o nel suo nome.
Ci sono persone, laggiù. Non ci sono pecore.
Questo è il potere.
Ma c’è qualcuno che da fastidio, che parla troppo, che si sofferma su particolari importanti, che scrive, annota, smentisce su carta parole fatte di niente,
Alcuni giornalisti.
Un avversario.
Poi gente normale, comune, che sul web raccoglie e pubblica filmati, fotografie, parole che dimostrano fatti o accrescono dubbi,

Che belle le luci di Milano ! Quando non è più giorno, ma non è ancora notte; quando la nebbia è panna montata attorno ai lampioni e alle insegne dei negozi, quando tutto è ancora vivo e un uomo qualunque può perdersi nel viavai, lasciarsi portare qui dalla corrente.
Il premier ha terminato di parlare, ora è il momento che suggella l’unione con la sua gente, l’abbraccio vero, il confondersi dell’alito nel gelo, le parole, le strette di mano, le dediche e gli autografi.
Lo attorniano guardie del corpo e poliziotti, lo seguono le luci delle telecamere.

Un rapido cenno d’intesa. E’ tutto pronto. L’uomo qualunque è qui, è già arrivato.
L’uomo qualunque vede che ora Milano ha troppe luci, non si sente bene, tutte queste luci, no… troppo chiasso, persone che si accalcano, lui è qui, che cosa deve fare ? Vorrebbe tornare nella nebbia, sente il peso del dolore del buio ferito dalle telecamere, è lontano il silenzio, è fuggito lungo altri marciapiedi, voglio andare via.

E’ vicino, adesso; chi gli sta intorno si agita, perchè il premier è lì, a pochi passi, ma l’uomo qualunque ha freddo, gli trema la mano che stringe qualcosa, voglio andar via, voglio andar via. E ricorda voci, suoni, parole mormorate in camere chiuse, le ricorda come fossero un destino, un sentiero illogico e sperduto nella sua mente,.

Si porta una mano allo stomaco e gli occhi si aprono su palpebre immobili…
Un desiderio sordo, una rabbia che si spezza come pane e semina briciole in tutto il suo essere, come se qualcuno glielo dicesse, glielo ordinasse.
Prendi bene la mira, come ti abbiamo insegnato.
Ancora voci che chiamano “Presidente, Presidente”, voci che cantano “Presidente, Presidente”, ora, ora è il momento, colpisci…

Il pastore porta le mani alla faccia e barcolla, s’accascia.
La folla si ferma in secondi di vuoto che passano, ma non trascorrono mai.
L’uomo qualunque distingue a malapena la gente, sa solo che ora mani forti lo stringono e lo portano via; ma lui è già partito da qui, è già fuggito lontano. Ha sonno e vorrebbe solo dormire.

Il premier è nell’auto, si vede del sangue, no aspettate sta uscendo, guardate, mio dio! Sta bene, sta bene, è ferito, sta bene. Si affaccia sulla gente, il pastore, sulla sua buonafede, come a dire “son qui”.
Poi lo spingono dentro e l’auto riparte.

– Com’è andata ? – chiede, mentre l’ospedale si avvicina,
– Tutto bene, signore. Anche il make-up è convincente. Perfetto, direi, per essere stato messo su in pochi secondi.
– Era bell’è pronto, bastava applicarlo, e abbiamo fatto molte prove d’altronde.

Squilla il telefono.

– Licio, carissimo ! Tutto perfetto. E’ comnciata la bolgia in tv ? Ora diamo la colpa all’ex piemme e a quei giornali e giornalisti che parlano troppo… Poi di loro si occuperanno gli amici di Palermo… Certo… Roberto ha già pronto il decreto per ammutolire quei coglioni su internet. In tribunale ? E come faccio ad andarci, sono ferito ! – ride, il presidente – Hai avuto davvero un’idea geniale. La gente mi vedrà come una vittima e risaliremo nei sondaggi, recupereremo alle comunali. Certo, Licio, le pecore si spaventano facilmente e, se hanno paura, ti seguono più volentieri… Non vedo l’ora di essere in ospedale. Avevo proprio bisogno di riposo.

Ci sono persone, laggiù. Non ci sono pecore.
Ci sono persone, laggiù. Non ci sono pecore.

Ci sono persone, laggiù. Non ci sono pecore.

©Thomas Pistoia

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