Quasi come John Lennon
17 Novembre 2014Nerds, trolls, fakes, haters, semplici fans…
Osserva con soddisfazione la lista di commenti sotto l’ultimo post che ha scritto sul social.
Ha già generato centocinquantasette opinioni, pareri, critiche, precisazioni. Alcune rispettose, quasi timide… Altre spocchiose, arroganti, ingiuriose… addirittura violente.
C’é chi lo esalta come miglior autore della testata e chi si augura di incontrarlo per la strada e prenderlo a schiaffi. C’é chi sostiene qualunque sua argomentazione (in modo a volte imbarazzante) e chi attende ogni giorno con smania che scriva qualcosa per poterlo attaccare.
Va bene così – pensa lui – così deve essere. O mi odi o mi ami, tertium non datur.
Si chiama BertoreK, è il suo nome d’arte, si scrive così, con la cappa maiuscola alla fine. E’ il fumettista del momento.
Famoso. Certo, se mostri una sua foto al primo che passa per la strada ci sono poche probabilità che venga riconosciuto. Però è andato oltre il suo ambiente, ha superato in fama altri suoi colleghi, soprattutto da quando si occupa, lui, del personaggio di carta più amato in assoluto: Miriam Gold, la regina del terrore.
La bellissima eroina soffriva da tempo di un netto calo delle vendite. E’ normale, fisiologico, nulla è eterno. Anche i supereroi cadono sotto i colpi del tempo. Per salvarli bisogna cambiarli, farli crescere, evolverli e adeguarli al presente… a volte ucciderli, perché rinascano ancora.
Così l’editore, improvvisamente, in un torrido giorno d’inizio estate, ha dato l’annuncio: il rilancio di Miriam sarà affidato a BertoreK!
Al più antipatico?
Sì, perché, tra le altre cose, lui sa difendersi bene sul web e nella realtà. Di conseguenza saprà proteggere anche il personaggio.
BertoreK conosce la comunicazione, ne ha carpito i segreti. Tutti. Il classico e wildiano “bene o male, purché se ne parli”, integrato al più contemporaneo uso della tecnologia: social, blog, forum… Fino alla vera svolta: non più soltanto fumetti. Miriam entra in tv, comincia a correre nei videogiochi, diventa persona reale sullo schermo di un cinema.
E la gestazione del rilancio prosegue sulla carta: BertoreK sceglie le storie migliori, le corregge, le rivede, alcune le scrive lui, di proprio pugno, senza mai dimenticare di dedicare almeno un paio d’ore al giorno ai flames sul suo profilo, voluti o subiti, cotti o mangiati, non è importante.
Il primo risultato che ottiene è forse quello fondamentale: di Miriam si ricomincia a parlare un po’ ovunque. Sulle riviste specializzate, ma anche sui rotocalchi. Su internet, ma anche nei Tg. La notizia è che Miriam ha perso dei comprimari e ne ha guadagnati altri; potrà o dovrà fare cose diverse, cambierà addirittura certo suo modo di parlare; avrà nuovi avversari, una nuova nemesi.
Piano, gradatamente. Ma succederà.
E’ solo un fumetto (no, è arte) e quelli sul social non sono altro che flames.
A volte risponderà alle critiche e agli insulti personalmente, altre volte lascerà che siano i suoi fans a fare il lavoro sporco; quelli più arditi e fedeli. Quelli che se scrivesse sul suo profilo che gli asini volano, commenterebbero “sì, è vero, ne ho visto uno che volava proprio ieri, qui, sul tetto di casa mia”.
BertoreK fino ad oggi ha padroneggiato il sistema perfettamente, è rimasto al centro, gestendo ogni cosa con sicurezza e precisione. Ma stamattina è successo qualcosa di nuovo, di non previsto.
E’ arrivata una lettera.
Una lettera, sì! Voglio dire… Qualcuno ha scelto di non stampare il suo commento a video… No. Lo ha affidato alla carta.
BertoreK torna dalla passeggiata col cane e trova nella cassetta questa busta. Nessun mittente, nessun destinatario. Non la apre subito, prima sale in casa. Toglie il soprabito, slega il cane, risponde a una telefonata. Tutto con una mano, nell’altra stringe la lettera.
Chiuso il telefono resta un tempo in piedi, così, magro, ossuto, allampanato, un palo piantato al centro del soggiorno. Osserva di nuovo la busta, prima da un lato, poi dall’altro, la gira e la rigira. Potrebbe essere qualunque cosa, ma lui sa, lo sente, ha a che fare con Miriam Gold, con i suoi fans.
Si decide e strappa la busta. Estrae il foglio e resta interdetto, poi sorride, fino a emettere una risata breve e nervosa, forse un po’ indispettita.
Siamo arrivati a questo punto…
Lettere ritagliate da un giornale e incollate sulla carta disegnano la minaccia più ridicola e folle: prima che tu uccida Miriam definitivamente, io ucciderò TE.
E’ appena appena inquietante. Appoggia la lettera sulla scrivania, indeciso sul da farsi.
Denunciare?
Gli viene in mente John Lennon.
Immagina
Immagina che un giorno un fan impazzito ti attenda sotto casa e ti spari a bruciapelo.
Immagina
Immagina che tu non sei Lennon, sei BertoreK. Sei bravo, sì, ma non sei (beh, certo, non ancora) una leggenda, per questo, francamente, di prendere pallottole in corpo per Miriam (per quanto bella lei sia) non te ne frega mica niente, neanche il giusto.
Immagina
No, non ne vale la pena.
Ma dai, anche la denuncia…
Magari prima lo dici agli altri, sul social. Ecco, sì!
Ora fai una bella scansione della lettera e la pubblichi! Ti mostri spavaldo, ci ridi sopra, ti prendi la solidarietà dei tuoi seguaci, intanto dici implicitamente allo spiritosone che ha ideato questo scherzo di stare attento, perché… Sì, tu ne ridi, ma nei commenti, alcuni ti stanno davvero consigliando di andare dai carabinieri!
Eh! Cosa ti credi?
Si siede. Il monitor che ha di fronte scorre il flusso degli interventi dei suoi contatti sul network. Lui sembra resti lì a guardarli andare, ma i suoi occhi in realtà sono persi nel vuoto, tenuti al guinzaglio da certi pensieri.
Che senso ha avvisare? Se uno ti vuole ammazzare lo fa e basta!
No, non è una regola assoluta… Se uno ti vuole ammazzare come minimo è pazzo, per cui non è detto che vada per logica.
Ma via! Io non sono John Lennon – pensa – niente scansione, nessun post sul social. A questo coglione farebbe soltanto piacere! Lo devo ignorare, ecco!
Ecco.
E’ solo un fumetto.
No. E’ arte.
In passato ha discusso animatamente con diversi suoi colleghi che si ostinano a considerare il proprio lavoro come mero artigianato.
No, dice lui, guardate che è proprio arte!
La nona! La più bella! Credete che la nona di Beethoven si chiami così per caso?
Miriam Gold è come fosse viva, la teniamo in vita noi!
La scriviamo, come una poesia.
La dipingiamo, come un affresco.
La costruiamo, come una chiesa.
La facciamo suonare, come fosse musica.
La scaviamo dal nulla, come una statua.
No, non è soltanto un fumetto…
E’ uscito di casa e ha camminato per la strada senza guardarsi intorno. Non ha voluto guardarsi intorno. Però ha ascoltato ogni passo alle sue spalle, ogni respiro, ogni battito di ciglia tra una voce e il suo rumore… Annusando l’aria.
E’ entrato nel suo ufficio salutando appena e si è messo subito a scrivere.
Sono passate così due ore.
Pausa.
Guarda il soffitto e pensa quello che ha sempre pensato della morte di John Lennon. Non l’ha ucciso un fan, non solo. C’è una mandante: udite udite, è Yoko Ono.
John era ormai tossicodipendente, si era ritirato dalle scene per cinque anni, nel tentativo di disintossicarsi. La tanto odiata e vituperata moglie, la donna mai abbastanza bella da giustificare l’irresistibile influsso che esercitava su di lui, la distruttrice dei Beatles, aveva compreso che la parabola del marito era ormai discendente. Ma si era premunita. Aveva convinto John a nominare eredi universali lei e Sean, il figlio nato dal loro matrimonio. Ora doveva soltanto far sì che vendesse per sempre milioni di dischi.
Per sempre.
Come? Semplice: bastava farlo morire. Già, proprio come i supereroi dei fumetti quando vendono poco!
Sarebbe rinato sotto forma di leggenda.
Aveva pagato le persone giuste, aveva trovato il soggetto giusto, il malato di mente che mai avrebbe negato. E un bel giorno… hey, Mister Lennon, hey!
Pampampam pam pam
Cinque colpi, quattro a segno.
Hey, Mister Lennon, hey!
Immagina adesso quanto è in lutto la tua signora!
BertoreK sorride. Lui non ce l’ha una Yoko Ono e non ha un Sean. O forse la sua Yoko è fatta di carta e si chiama Miriam.
Più probabilmente da qualche parte in questa città c’è un brufoloso coglione di quindici anni che non sa neanche usare le forbici, ha tagliato sghembe tutte le lettere!
Poi arrivano le tavole del disegnatore di turno… e c’è anche da controllare una sceneggiatura…
La giornata corre via così, senza più pensieri, fino al crepuscolo.
Va via più sereno, cordiale, salutando tutti.
Esce in strada e si lascia abbracciare per pochi secondi da una folata di freddo, la prima, quella che dà lo sbalzo. Poi si infila perpendicolare al marciapiede e traccia una linea di cammino verso casa.
Non ci pensa più, guarda in terra e non ascolta la sera. Un vecchio pezzo dei Gun’s’Roses gli attraversa la mente come un fiume, per qualche minuto.
Non si avvede del tizio che dondola in sovrappeso verso di lui, dalla parte opposta. Basso, calvo, intabarrato, senza sguardo, si fa avanti con una finta fretta, sembra il niente di un passante senza meta, una comparsa persa sul fondo di una vignetta transitoria.
E non ha quindici anni. Ne ha quaranta.
Non si avvede della mano che fuoriesce dalla tasca qualche secondo prima della collisione. Quando il tizio lo urta, quando il fan lo urta, lui non si aspetta nient’altro che un “mi scusi”. Invece sente la canna sulla pancia nel taglio di un secondo e comprende appena in tempo che è già tardi.
Se almeno fosse un po’ storico, se dicesse qualcosa di memorabile, tipo hey, signor Bertorek, hey!
Invece sta zitto.
Sta zitto e spara.
Solo due colpi.
Così, a bruciapelo. Sulle prime non sente nulla. Ma lui scrive fumetti, lui sa cosa fa una pallottola nello stomaco.
Perché noi studiamo anche anatomia e medicina, pur di farti leggere omicidi verosimili, brutto pezzo di merda! E quindi lo so che mi hai appena tranciato l’arteria gastrica sinistra!
E quando comincia a provare dolore gli viene alla mente la vignetta di una storia del Ranger, una che ha letto da bambino. Il Ranger mostra a suo figlio poco più che adolescente come si spara. Prende di mira un fantoccio e gli buca il ventre. Poi dice al ragazzino “quando infili un confetto di piombo caldo nello stomaco di un uomo, quell’uomo è spacciato”.
BertoreK è spacciato.
Il fottuto fan di Miriam Gold non si ferma a guardarlo morire nemmeno per un attimo. Prosegue a camminare sul fondo della strada, di quinta, gli verrebbe da dire. Lui invece si accascia piano, prima sulle ginocchia, poi su se stesso.
Lo stronzo è un pivello, lo beccheranno tra qualche ora, grazie a una delle tante telecamere sparse nella via. Un malato di mente manovrato da una Yoko Ono di carta che si fa chiamare la regina del terrore. Una donna che è soltanto un fumetto.
BertoreK resta lì, supino, mentre la vista comincia ad appannarsi, sente il sangue in bocca, caldo, mieloso. Sente la camicia bagnata e appiccicata alla pelle.
Quasi come John Lennon. Quasi.
Bastava ancora tanto così, mancava davvero poco.
Qualcuno urla. Era ora.
Le sirene sono le ultime note musicali della sua vita.
Vorrebbe aprire un flame, l’ultimo, adesso, mentre muore. Vorrebbe dire al testa di cazzo che gli ha sparato che Miriam cambierà a partire dal numero tot e che questa è ancora una fase di transizione… e che… e che vorrebbe leggere i commenti che faranno i suoi fans sul suo omicidio e… e i commenti degli haters che diranno che se l’è proprio meritata, che se ti atteggi a rockstar del fumetto prima o poi a qualcuno le palle girano storte e ci vuol poco… Mister Douglas insegna.
Resta lì, quasi come John Lennon, mentre un agente lo tocca, lo guarda, poi si rivolge al suo superiore.
– Ispettore… Quest’uomo sta morendo.
L’anziano e calvo poliziotto sospira e borbotta, indispettito e amareggiato.
– Mi doveva capitare un omicidio proprio stasera… Proprio l’ultima sera di servizio! Domani vado in pensione…
E’ solo un fumetto. No. E’ arte.
E’ solo un fumetto.
No.
E’ arte.
©Thomas Pistoia
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