Visto da dentro
1 Luglio 2011E’ inutile.
Tu mi abbracci, mi parli con dolcezza, mi accarezzi. Ma i tuoi tentativi di far tornare tutto come prima sono vani, se non addirittura folli.
E’ come se il mondo si fosse capovolto all’improvviso e tu pretendessi, così – da solo – di raddrizzarlo.
Non capisci che è tutto finito?
No – come sono stupida! – per quanti sforzi tu possa fare non potrai mai comprendere, e forse non è nemmeno colpa tua…
Sì, forse è soltanto questa diversità nei nostri corpi e nelle nostre menti che non ti rende possibile cogliere pienamente il dolore che ho provato e che ancora provo…
Io donna, tu uomo; dovremmo sentirci vicini uno all’altra, e a volte, in passato, ci siamo illusi di esserlo veramente: ma adesso capisco, adesso vedo quello che tu non riesci a vedere e percepisco finalmente l’enorme distanza che ci divide, in tempo, in spazio, in amore… Lo stesso abisso che separa qualsiasi altra donna dal suo uomo; l’impetuoso turbine di idee e sentimenti in cui l’universo maschile e quello femminile si sfiorano senza mai riuscire a toccarsi.
Allora pensi ancora di poter consolare le mie lacrime?
Come puoi farlo se appartieni ad un altro mondo?
Tu sei forte, io no.
Tuo padre non ti ha mai picchiata perché sei tornata a casa tardi e chissà con chi sei stata.
Tua madre non ti ha mai insegnato che la verginità va conservata fino al giorno del tuo matrimonio.
Tu non ti sei mai dovuto rendere conto che certi occhi, alcuni appartenenti anche ai tuoi familiari, non ti guardavano se non come corpo.
Infine… Tu non hai mai dovuto scopare perché costretta da altri a farlo.
Scopare
Fino a qualche tempo fa dicevo “far l’amore”, ora non ci riesco più. Mi sono resa conto che in fondo anche con te, che sei l’uomo che amo, ho soltanto scopato…
No, non offenderti, anche in questo caso non è colpa tua… E’ proprio l’atto in se stesso, capisci?
Sei tu che entri, non io.
Sei tu che ti muovi dentro, non io.
Scopi, mi pulisci, forse è per questo che si utilizza questo vocabolo; uno dei tanti modi con cui si vorrebbe dimostrare l’inetta superiorità dell’uomo sulla donna…
Deliro? Sì, forse sì.
Forse è così.
Ma ora, amore mio, io non so più fare l’amore. Ora faccio fatica a chiamarti amore, perché sei un uomo, e piango perché lo sei, piango perché non è colpa tua, piango perché non riesco a dimenticare…
Ecco, mi basta chiudere gli occhi e tutto accade di nuovo, come in un incubo tremendamente reale… Come in un film che scorre e finisce sul video soltanto per poter ricominciare di nuovo…
Mi vedo, è sera tardi, sto tornando a casa dal lavoro. Ho perso il bus, ma non è un problema, non ho paura di camminare da sola e comunque ci sono ancora persone e macchine per la strada.
Un auto bianca, lunga, si accosta al marciapiede, dentro ci sono tre uomini. Mi chiamano. Prima fischiando, poi con le parole.
– Ehi, bella fica, perché non vieni a fare un giretto con noi?
Fingo di non aver sentito, forse sono ubriachi, ma non ho paura, non è la prima volta che mi capita, ci sono abituata; né mi offendo per l’appellativo con cui mi hanno definita.
“Bella fica”; per loro non sono una donna, un essere umano, ma una fica, uno strumento per provare piacere…
Anche a te è capitato, vero uomo?
Anche tu, guardando qualche ragazza per la strada, non hai potuto fare a meno di chiamarla così… E smettila di dirmi di non piangere, cristosanto! Fammi andare avanti, voglio continuare!
Uno di loro scende dall’auto, mi segue, mentre gli altri due tracciano il mio stesso percorso sull’auto.
Ora comincio ad avere paura.
Altri veicoli sfrecciano sulla strada, i passanti si fan sempre più rari.
Accelero il passo, quello dietro accelera anche lui. Aumento ancora e lui insiste, ma quando sto per mettermi a gridare in cerca di aiuto, una delle sue mani mi strattona un braccio, l’altra mi tappa la bocca spingendomi nello stesso tempo nell’auto.
Cerco di dibattermi, ma un pugno nello stomaco mi soffoca… Sono sul sedile posteriore della macchina, quello che mi ha preso mi tiene per i capelli e mi parla nell’orecchio, mentre gli altri due, davanti, sghignazzano.
– Sta’ tranquilla, vogliamo solo divertirci un po’ con te, poi ti lasceremo andare…
Fuori nessuno si è accorto di niente. Sono sola con questi tre porci che ridono.
– Lasciatemi – e comincio ad urlare: è un urlo quasi inumano, cieco di terrore, ma dura pochi secondi, il tempo che un altro pugno mi raggiunga al viso. Quando mi riprendo dallo stordimento, sento le mani di quello che mi sta accanto che mi frugano tra le gambe, cerco di allontanarle, mi fanno schifo, paura, ribrezzo…
Dico “Vi prego, nella borsetta ho del denaro, prendetevelo, ma lasciatemi andare!”.
Altre risa bestiali e insulti sono la loro risposta.
All’improvviso la bocca di uno di loro (non ricordo quale, forse quello accanto al posto di guida) si incolla alle mie labbra… Il terrore cresce e il senso di schifo straripa, mentre la sua lingua scava tra i miei denti.
Buffo! Mi sorprendo a pensare alla gelosia che proveresti tu a vedermi baciata da un altro, poi a come mi sentirei sicura se il mio uomo fosse qui a difendermi.
Botte.
Secche. Sui fianchi, sul petto, sul capo.
Le mie resistenze si affievoliscono e il mio aguzzino riesce a baciarmi.
Intanto la macchina si ferma, hanno guidato molto veloce.
Siamo in aperta campagna, un luogo buio e isolato, comprendo – ancora intontita dai pugni – solo questo. Mi gettano a terra, poi un altro ceffone e mi aprono le gambe, le loro facce si confondono, ma ora per me, che siano uno, tre o cinquanta non fa più differenza… Se potevo avere qualche dubbio, adesso non ce l’ho più: mi violenteranno.
I miei vestiti vanno in brandelli e uno di loro comincia a baciarmi il seno con foga, con… con avidità.
Che… Che schifo! Piango, sì, sto piangendo, piango! Ma senza singhiozzi, così, muta, Una lacrima dietro l’altra.
No, non basta! Fammi finire, anche tu devi sapere, anche tu devi sapere! Devi capire quello che ho provato quando… quando ho sentito la sua mano nei miei slip, le sue dita nella mia… nella mia… fica! Sì, la voglio chiamare così: fica!
E’ così che la chiamate voi, no?
FICA!
FICA!
FICA!
Lasciami, fammi continuare! Non mi toccare!
Poi… Poi mi strappa gli slip e si sbottona i pantaloni… ed eccolo! Lo vedo. Lui.
Duro, eretto. Sembra quasi che rida beffardo della sua vittoria.
E dire che ho amato tanto il tuo! L’ho accarezzato, baciato, l’ho accolto dentro di me con tutto l’amore che mi è stato possibile. Perché ho amato, capisci? E’ stato l’amore che provo per te a farmi desiderare il tuo corpo… L’amore.
Ma quello – e adesso rido, vedi? Rido della sua meschinità – quello non voleva amore, quello rideva di me, della mia impotenza.
E lui me lo strofinava tra le cosce, come a voler prolungare ancora più a lungo la mia agonia.
Poi, finalmente… finalmente fa quello che vuole e i suoi amici ridono e si masturbano…
Mi… DIO!… Mi infila il suo pene… dentro!
E mentre comincia a sbattermi, mi chiama troia, puttana e non so che altro. Mi dice che devo dirgli che mi piace, che devo urlare che mi piace!
E adesso? Adesso come faccio a spiegartelo? Come faccio a dirti che quel porco mi ha uccisa, che col suo… cazzo! E’ entrato non nel mio corpo, ma nella mia anima e l’ha pugnalata a morte?
Lo sento dentro di me che batte e geme di piacere, mentre mi stringe i polsi.
Mi… Mi fa male dentro, mi sta scopando a sangue, mi fa male! Mi chiede se godo, ma non capisce che i miei mugolii sono causati dal dolore.
Mi dice che sono bona, che gli piaccio, che gli piace il mio culone sodo.
Piango, stavolta singhiozzando.
Lui, dentro, continua a bucarmi l’anima, ancora, più forte, più veloce… Mi bacia in bocca, mi stringe, mi chiama amore, ridendo. Finge per sfregio di essere un marito o un fidanzato, per farmi più male.
Poi mi costringe a girarmi e urla che ora mi spacca il culo…
E lo fa davvero.
Sta’ zitto, non m’importa del dolore che provo nel ricordare, la verità è che tu ti vergogni!
Adesso lo sento dietro, mi sta gettando dentro la sua merda bianca e appiccicosa. Il suo pene pulsa e lui ora è contento, perché mi ha sottomesso a tutti i suoi voleri, alla sua perversione.
Non provo dolore. Ormai sono sotto choc.
Con gli altri due la storia si ripete più o meno uguale. Per ore.
Lasciami piangere, ti prego, lasciami piangere!
Perché adesso che importa quanti anni di galera faranno e se li faranno? I cocci della mia anima sono qui, dentro di me, e non li potrai mai più raccogliere o ricomporre!
Non… Non riesco più a toccarti, a baciarti, a farmi toccare o baciare da te…
Sai qual è la verità?
Il turbinìo degli universi non cesserà mai, finché gli uomini non capiranno che quella che chiamano “fica”, per le donne è come un secondo cuore…
Sì, lo so che mi ami e ti amo anch’io, ma non puoi più raddrizzare il mio mondo.
Se proprio ci vuoi provare, per favore…
Stammi vicino
Stammi vicino
Stammi vicino
Stammi vicino
Stammi vicino
Thomas Pistoia